Testimonianza su Teodoro D’Amici “cerca l’acqua mia”

12 maggio 2023 Testimonianza di Tonino D’Amici, presso la Parrocchia San Michele Arcangelo (Castrignano del Capo) Lecce – In fondo alla pagina le foto dal profilo Fb. di Raimundo Sebastiano.

(in occasione dell’incontro tenutosi a Jaddico il 19 giugno 2017 promosso dalla Fondazione Valerio)

Acqua elemento terapeutico

Inizierò col dire che Antonio D’Amici era il papà di Teodoro ed Antonio aveva una campagna proprio vicino a Jaddico. Per chi si sposta da Brindisi, appena trecento metri oltre Jaddico. Una campagna che Teodoro spesso raggiungeva, e per questo motivo, anche se per pochissimo tempo, si fermava davanti al muro di Jaddico e alla Madonna lì affrescata rivolgeva un breve pensiero, una breve preghiera, ed anche una volta per rivolgerLe una promessa: “Quando sarò grande ti costruirò una chiesa.”

Teodoro poi grande è diventato, anzi è diventato grande, ma non ha più pensato a questa cosa della quale aveva ormai un ricordo sbiadito.

Si dice che ad Eboli si sia fermato Cristo. Lo dice Carlo Levi, ma questo è solo un romanzo, invece a Brindisi la Madonna si è fermata per davvero, lo ha fatto per ben sedici volte, anche se in modalità diverse, lo ha fatto perché non aveva scordato l’antica promessa fatta da Teodoro.

Quando pensiamo a quanto è accaduto qui a Brindisi, ci rendiamo conto che il linguaggio di Dio è diverso dal nostro.

Quando l’uomo si ferma, vuol dire che c’è una sosta, un bloccarsi, un arrestarsi, c’è stasi, per Dio invece non è così, quando lui attraverso la Madonna si ferma, vuol dire che c’è il movimento, c’è l’avanzare, il procedere, il proseguire, il nuovo, c’è fermento.

Questo è esattamente quello che è accaduto a Brindisi in contrada Jaddico.

La Madonna si ferma a Brindisi, a Fatima, a Lourdes, e quello che sempre chiede è la costruzione di una chiesa, lo fa perché sia adorato Cristo e Gesù sacramentato. Lo fa per dare una speranza all’umanità, e perché in questo modo diventa veicolo di salvezza.

Mi piace dire che dove la Madonna appare c’è sempre la presenza dell’acqua.

Cerca l’acqua mia” ha detto in sogno la Madonna a Teodoro. Ma Teodoro non riesce a trovare l’acqua.

Cerca l’acqua mia e la troverai”, dice ancora in sogno la Madonna a Teodoro. E gli indica anche la direzione. Lo stesso Teodoro durante uno di questi sogni finalizzati alla ricerca dell’acqua voluta dalla Madonna, ha bisogno di quell’acqua. Sogna che i lavori della costruzione della chiesa vanno avanti e uno schizzo di calce lo colpisce proprio in un occhio e ha bisogno dell’acqua, anzi di quell’acqua, perché l’occhio ormai brucia.

Chissà, aggiungo io che la Madonna di Jaddico possa un giorno prestare particolare attenzione a coloro che hanno problemi alla vista.

Finalmente Teodoro trova l’acqua, e la trova nel canale che sta vicino alla chiesa, la trova sotto il ponte. Li è stata costruita una grande pedana in cemento armato e nemmeno questo grande blocco di cemento, e nemmeno il muro in cemento che è pure lì e che regge un lato del ponte della superstrada, è capace di frenare il flusso di quattro polle d’acqua che si fanno strada e poi si confondono nell’acqua e nella melma del canale.

Ho detto nella melma, ci stupisce?.

Vedete il latianese Bartolo Longo, il beato, inizia a dire il rosario con gli abitanti di Pompei e per questo motivo ha bisogno di una immagine della Madonna. Un suo amico, un religioso domenicano, gli dice di avere dato una icona della Madonna ad una comunità di suore.

Bartolo Longo ha già raggiunto quella comunità di suore le quali conservano la tela della Madonna in un sottoscala. Per questo motivo le suore gli danno volentieri il quadro dove è dipinta la Madonna. Quando Bartolo Longo vede il quadro con il dipinto della Madonna è tentato di lasciarla, perché è una immagine brutta, senza alcun valore e malandata. Non gli piace, ma la prende, perché a Pompei ormai la aspettano. Questo dipinto verrà poi naturalmente restaurato. Ora il quadro deve essere trasportato fino a Pompei, per cui Bartolo Longo chiede aiuto ad un contadino che con il suo cavallo e con il suo carro pieno di letame va a Pompei, ed è così, che assieme al letame, una delle più note icone della cristianità raggiungerà Pompei.

Ma cosa succede a Jaddico nelle tarde ore della sera, quando è già buio. Accade che una ragazza accompagnata dal suo papà, lascia Grottaglie e decide di venire a Jaddico perché Enzo, il papà di Cira, sa che a Jaddico c’è l’acqua voluta dalla Madonna, sa di trovare quella che la Madonna ha indicato come “l’acqua mia”.

Cira ha avuto un incidente, quando era al mare sugli scogli, ha subito la frattura del quinto dito del piede, una frattura scomposta. Tutta la parte interessata era infiammata per cui, in ospedale, le fanno un gambaletto. I due ora sono a Brindisi, raggiungono la vasca dove c’è l’acqua, e qui Enzo, fa entrare la figlia nella vasca facendole immergere il piede ingessato. Enzo porta con se le forbici di campagna perché ha deciso che quel gambaletto non serve più, eppure era stato messo il giorno prima.

Enzo fa immergere nell’acqua di Jaddico la gamba della figlia con il gambaletto, tutto questo per sette volte e così per sette volte la toglie dall’acqua. Dopo aver fatto questo Enzo taglia alla figlia il gambaletto. A questo punto Cira timidamente inizia a camminare, poi in maniera convinta, poi corre. E’ guarita.

Enzo chiede alla figlia di fare tutto questo perché qualche tempo prima aveva preso conoscenza di quanto si legge nell’Antico Testamento a proposito di Naaman il Siro, il quale era affetto dalla lebbra. Un male inguaribile. Gli avevano suggerito di andare da un uomo di Dio, da Eliseo. Lui avrebbe potuto guarirlo. Lo convincono. Ci va.

Ma Eliseo, l’uomo di Dio, nemmeno lo vede, e manda a dirgli: “Immergiti per sette volte nelle acque del fiume Giordano. Naaman si arrabbia e dice: “Caspita mi fa venire fin qui, come se io, nel paese da dove vengo, non avessi i miei fiumi dove potermi immergere.” Si arrabbia e se ne va, ma lo convincono a tornare indietro e si immerge per sette volte nelle acque del fiume Giordano, come gli aveva detto di fare il profeta Elia. Lui era posseduto, era affetto dalla lebbra, a dopo aver seguito il suggerimento del profeta, esce da quelle acque guarito. La sua pelle è diventata nuova come quando non aveva più la lebbra.

A questo punto abbiamo informato del fatto Padre Innocenzo Parente, che all’epoca di questi fatti era il Rettore del Santuario di Jaddico. Padre Innocenzo si rivolge ad un medico al quale sottopone il caso di cui sopra. Il Dott. Francesco Mingolla di Ostuni, specialista, fra l’altro, in Ortopedia e Traumatologia, nel suo referto (che riportiamo in forma breve) si esprime così:

Ho preso visione di esami radiologici della sig.ra Manisi Cira, quest’ultimo in apparecchio gessato che evidenzia la frattura completa della prima falange del quinto dito del piede destro per trauma riportato e che al controllo in gesso è ancora evidente senza manifesti segni di riparazione ossea e con presenza di sintomatologia dolorosa e limitazione funzionale giustificabile per il quadro radiologico evidenziato. La scomparsa della sintomatologia dolorosa e della impotenza funzionale riferita, non è spiegabile sulla base degli elementi esaminati e risulta un evento eccezionale da riferirsi a fattori imponderabili. Tanto mi sento di esprimere in ragione delle mie conoscenze e tale accadimento inspiegabile suscita un senso di profonda meraviglia e di sconcerto e porta ad addebitare tale situazione a fattori al di sopra delle nostre conoscenze umane.

F.to: Dott. Francesco Mingolla

Bene, sempre per rimanere nell’argomento dell’acqua. C’è un ragazzo che finisce di lavorare, si trova alla zona industriale di Brindisi, sale sulla moto per raggiungere la sua abitazione al rione Cappuccini, ma lungo la strada si sente male. Nonostante tutto riesce a guidare la moto fino ad arrivare a casa, sistema la moto sul cavalletto, dopodiché stramazza per terra.

Lo portano in ospedale dove viene diagnosticato un aneurisma alla testa. Torna a casa e il papà se pure il figlio non vuole trattare l’argomento che lo riguarda, gli dice: “Guarda che a Jaddico c’è un’acqua che è come quella di Lourdes, tu vai, ma non andare perché te lo dico io, vai con fede e bagnati la testa con quell’acqua. Emanuele non dirà nulla ai suoi genitori, ma il papà verrà a sapere da alcune persone che frequentano il Santuario, che il figlio va tutte le sere e si siede davanti alla vasca dove c’è l’acqua voluta dalla Madonna e si bagna la testa e rimane con la testa bagnata.

Intanto i genitori non possono stare fermi, perché il figlio, per usare il linguaggio del papà, ha questa spada di Damocle sulla testa. Vengono a sapere di un neurochirurgo che sta al Vito Fazzi di Lecce, per cui lo raggiungono. Il neurochirurgo dice che l’aneurisma non è nemmeno tanto piccolo come c’è scritto sulla cartella clinica rilasciata dall’ospedale di Brindisi e non solo, perché aggiunge: “Voi genitori siete stati degli incoscienti a far passare tanto tempo perché il ragazzo è da operare subito. Portatemelo.” Riescono a convincere Emanuele ad andare al Vito Fazzi. Non è stata una impresa facile. Emanuele entra in sala operatoria, passano ore, parecchie, finché poi lo vedono uscire piangendo perché pensa di dover andare in terapia intensiva. Il Primario chiede di parlare nel suo studio con i genitori e con Emanuele e a loro dice: “Potete portare via il ragazzo perché non ha niente. Si è trattato di un semplice mal di testa.” Ma come dice il papà, tu ci hai detto di venire con urgenza, ci hai detto che siamo stati degli incoscienti.” – “Ma non siete contenti?, incalza il primario, ed Emanuele esordisce dicendo: “Papà, l’acqua di Jaddico.

Caddi dalle nuvole quando all’età di dieci anni o poco più scoprii che i brindisini conoscevano Teodoro come un uomo burbero. In seguito capii che questo accadeva quando Teodoro indossava la divisa di vigile urbano, quando calcava l’asfalto della città. Era invece gioviale ed assumeva una posizione centrale quando era in compagnia di amici, quando partecipava ad una cena o ad un banchetto in qualche masseria, perché nelle masserie ci andava quando era anche stato vigile sanitario. Ma il primo fatto importante che accade a Jaddico è appunto il cambiamento di Teodoro, il primo fatto importante è la sua conversione. Teodoro si lascia trasformare, si lascia plasmare dalla Madonna. Vincenzo Chitano che ha conosciuto Teodoro prima dei fatti di Jaddico e ha riflettuto sul comportamento di Teodoro, ci dice: “ Alcuni anni più tardi, tornai a Jaddico con il mio amico Peppino Ribezzo per partecipare alla Messa, ma il sacerdote, benché fosse giunto l’orario in cui la funzione religiosa sarebbe dovuta iniziare, non arrivava. Sono stato subito attratto da Teodoro che, per riempire questa attesa, diceva il rosario dall’ambone. Terminato il primo, in maniera semplice e naturale, iniziò a recitare anche il secondo rosario.

Ci si può chiedere cosa ci sia di strano o di particolare. Tanti sono gli uomini che dicono il rosario, ma rimanevo stupito, e non solo io, per il fatto che la sua, quella di Teodoro, era stata una conversione avvenuta in poco tempo, una conversione fulminea e radicale, quasi come quella avvenuta sulla strada di Damasco. Lo stupore era tale solo per chi, come me, conosceva Teodoro “come era fatto prima”.

Già alla sua prima esperienza della luce, qui a Jaddico, davanti al muro, Teodoro parla alla Madonna è le dice: “Dimmi quello che vuoi e mi farò servo tuo.”

Teodoro dice le stesse parole che duemila anni prima erano state dette dalla Madonna al momento dell’Annunciazione. Teodoro che non ha mai aperto la Bibbia, non ha mai letto un Vangelo, come fa a dire queste parole? Queste parole hanno dello straordinario. Teodoro è in grado di parlare come Maria aveva già fatto, perché in quel momento era pieno di Spirito Santo.

Vedete, Elisabetta quando riceve la visita di Maria, esclama a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo.” Queste parole hanno dello straordinario, parla in questo modo perché era piena di Spirito Santo. Lo dicono le scritture.

La Madonna dirà “Sono la Serva del Signore, si compia in me la sua volontà.” La Madonna si fa Serva di Dio, Teodoro si fa Servo della Madonna. Entrambi si rimettono alla volontà dell’Altro. Dimmi quello che vuoi dice Teodoro alla Madonna, e mi farò servo tuo. La Madonna all’Angelo dice: “Si compia in me secondo la sua volontà”.

Avevo dieci anni. Ma che cosa dice, ma come parla dicevo tra me e me: “Mi farò Servo tuo!”. Ma che linguaggio è questo!, continuavo a ripetermi.

Ora dico che Teodoro non poteva dire parole più belle.

Teodoro si lascia guidare dalla Madonna e a lei si abbandona.

Sia la Madonna che Teodoro si affidano e si abbandonano a qualcosa a qualcuno che è più grande di loro.

– Sarai la madre del Signore. Ci vuole un bel coraggio a dire “Si”.

E se Giuseppe l’avesse ripudiata, se Giuseppe l’avesse lasciata? In quel caso la Madonna avrebbe dovuto pagare le conseguenze della cultura, del modo di pensare della società di quel tempo.

Portami ceri e fiori, dice la Madonna a Teodoro. E lui, sia pure dopo alcuni inviti, va. E se qualcuno lo avesse visto davanti a quel muro in ginocchio, in preghiera, con i ceri e i fiori che la Madonna gli aveva chiesto. E la serietà di Teodoro, e la sua dignità, dove sarebbe andata a finire?, perché queste sono cose per donnicciole.

Entrambi non riescono a capire e si affidano, si abbandonano.

Senza saperlo Teodoro, come ha già fatto la Madonna, diventa uomo silenzioso.

In quel tempo erano più i vigili urbani che non i semafori, e mentre Teodoro, su una pedana tonda di legno, dirigeva il traffico a Porta Mesagne, un suo cugino Antimo Volpe, vigile urbano anche lui, con il quale non scorreva buon sangue, si avvicina a Teodoro, si inginocchia e guardandolo negli occhi, a mo’ di scherno, si fa il segno della croce. Teodoro non reagisce, rimane in silenzio.

Sempre in città, ma ora Teodoro è già più aventi negli anni, ne avrà avuti circa 75, mentre io guido e lui è seduto accanto a me, un gruppo di persone lavorano sulla strada, ed in qualche modo creano intralcio, per cui siamo costretti a fermarci. Una di queste persone, vedendo Teodoro seduto in macchina, noncurante di essere sentita anche da lui, lo apostrofa e dice: “Sta passa quiddu ch’è vistu la Matonna.” E Teodoro rimane in silenzio.

Si allontanano dal sinedrio contenti di essere stati giudicati e degni di subire oltraggi nel nome di Gesù (At 5,34-42), stiamo parlando degli apostoli.

Teodoro si allontana da quel luogo ed accetta, in silenzio, sicuramente anche soffrendo, quella umiliazione per l’amore che nutre per la Madonna.

La nostra è una Madonna odigidrica, perché se con una mano regge il Bambino benedicente, con l’altra indica la direzione, cioè indica Gesù. Come se a Teodoro indicasse la strada da seguire, come se gli dicesse fai tutto quello che ti dirà. E Teodoro da Gesù raccoglie le parole del silenzio di quando lo insultano e lo scherniscono, e dopo avergli messo in testa una corona di spine, gli dicono: “Ora tu sei re.

Teodoro riesce a far questo, riesce a subire in silenzio, perché lavora nella vigna del Signore con umiltà e senza pretendere nulla.

Ed ora parliamo delle pietre d’angolo, o se preferiamo parliamo delle pietre scartate, che nel caso nostro sono la stessa cosa.

La nostra è una Madonna che per secoli è stata abbandonata a se stessa, è stata una Madonna bagnata da tanta pioggia e cotta da tanto sole estivo. Un sole così caldo e prepotente tanto da costringere i contadini del luogo a serrare gli occhi, fino a non dare loro la possibilità di tenerli aperti.

Devo confessare che spesso provo gioia quando a Jaddico vedo il sacerdote che alza l’Ostia, o quando vedo che ad alzare l’Ostia è stato il Vescovo Margiotta, o Settimio Todisco, ed a seguire il Vescovo Rocco Talucci ed il Vescovo Domenico Caliandro, e lo scorso anno il Vescovo di Loreto assieme al Vescovo Caliandro.

E mentre vedo tutto questo, non mi sfugge sullo sfondo l’affresco della Madonna. Vedo la nostra Madonna con in braccio il Bambino benedicente.

Provo gioia e qualche volta anche stupore. Stupore perché quel muro non serviva a niente e forse più a nessuno, un muro inutile, scartato anche dai “costruttori”. Tutto era crollato intorno ad esso e presto, come sappiamo (vedi diario di Giuseppina Cassano, moglie di Teodoro – sogno del 30 settembre 1962), non sarebbe rimasto più nulla, nemmeno lo stesso muro.

Ma Dio non ragiona come gli uomini.

Se da una parte l’uomo scarta e getta via, dall’altra Dio recupera e lo fa diventare testata d’angolo, lo fa diventare un oggetto prezioso. Prezioso anzi preziosissimo, infatti Alberto Del Sordo, Servo della Madonna, ci dice che un oggetto prezioso va protetto e va conservato dentro uno scrigno; e questo è quello che è accaduto qui a Jaddico.

Il nostro oggetto prezioso è il “Muro” e intorno ad esso hanno costruito una chiesa. Ecco lo scrigno.

Ma c’è un’altra pietra che era stata rifiutata e che la società aveva scartato.

 “Proprio a lui? – si diceva in città – proprio lui doveva vedere la Madonna?”.

Invece Dio, attraverso la Madonna, aveva visto in quell’uomo, in Teodoro D’Amici, la pietra d’angolo.

Dio aveva ritenuto che Teodoro fosse la pietra che era in grado di reggere il peso che Lui voleva dargli ed è per questo che, attraverso la Madonna, gli chiede di costruire una chiesa: “Coprimi ho freddo” dirà in sogno la Madonna a Teodoro. (vedi diario di Giuseppina – sogno del 6 settembre 1962).

Ed infine una testimonianza su Teodoro D’Amici ci arriva da Padre Innocenzo Parente che come sappiamo è stato il Padre Provinciale dei Carmelitani Scalzi, quando il Santuario è stato appunto a loro affidato, ed in un momento successivo è stato il Rettore del Santuario di Jaddico.

Abbiamo già detto che Teodoro era uomo silenzioso, ed aggiungiamo ora che amava il nascondimento e per questo motivo non si metteva mai in prima fila.

Padre Innocenzo, su Teodoro D’Amici scrive così:

Egli parlava, però, e in modo più efficace, parlava il suo comportamento.

Il silenzio di cui parlavo sopra, non era taciturnità, ma espressione di un cuore che – come quello della Vergine Maria, custodiva gli eventi provvidenziali, di cui era stato testimone e a lui consegnati.

L’espressione del suo viso era serena e si accompagnava ad un lieve sorriso che lo illuminava e lo rendeva amabile. Tutta la sua persona ispirava fiducia e rispetto.

Ho potuto sempre ammirare grande umiltà e distacco da se stesso.

Ricordo che quando si era da Mons. Todisco, nei giorni in cui il Santuario ci veniva affidato, gli interlocutori erano altri Servi della Madonna, mentre lui restava in secondo piano, assentendo a quanto questi dicevano e contento solo che, finalmente, arrivavano i Padri.

Ed ora, dopo aver letto il pensiero di Padre Innocenzo su Teodoro D’Amici, concludo con un ultimo pensiero, il mio.

Tante volte ho pensato al pennello della persona che secoli fa, ha affrescato il quadro della Madonna di Jaddico. Non sapremo mai chi è stato l’autore, ne lui ha mai potuto immaginare che il suo lavoro avrebbe avuto vita nei secoli, ne avrebbe potuto mai immaginare quel che sarebbe successo qui a Brindisi, a partire da una notte d’estate, da quella notte in cui la Madonna si è rivelata a Teodoro.
Sono sicuro che ora lui sa tutto, perché, sempre in una notte d’estate, quando Teodoro è morto, i due si sono incontrati e, mentre assieme passeggiavano, tenendosi sottobraccio l’un l’altro, hanno chiacchierato e hanno pianto di gioia.

Il sorriso di Teodoro

UN SACERDOTE V.P.

Dopo l’evento Jaddico Teodoro era diventato un altro, ormai era come un bambino che si lasciava prendere per mano da Gesù e Maria.

Il suo sorriso era imbarazzante perché esprimeva la sua purezza interiore.

Sono convinto che Teodoro ci sta guardando dal cielo con il suo dolce ed amabile sorriso.

UN SACERDOTE G.S.

Mi piaceva guardarlo negli occhi, quando passava dal banco (a lui durante la messa era affidata la raccolta delle offerte) e rimanevo incantato dal suo sguardo sorridente e dolce.

UN TESTIMONE D.P.

L’amore che esprimeva conle sue parole, l’espressione del volto, il suo sorriso statico erano tali da emozionare e coinvolgere i fedeli che in quei momenti godevano anche essi della sua grazia.

UNA TESTIMONE S.A.

Sempre quel sorriso perché fondamentalmente il carattere era sempre quello, era buono.

UNA TESTIMONE M.A.

Mi piaceva osservare lo sguardo di Teodoro perché dallo stesso trasparivano una limpidezza e una bontà d’animo che unitamente al suo spirito di riservatezza e di uomo dedito alla contemplazione e alla preghiera, rendevano l’idea di come, in qualità di cristiani, si possa dire si a Dio e alla Vergine Maria.

UN TESTIMONE T.S.

Notavo che Teodoro era cambiato, come tra la notte e il giorno. Prima non sorrideva mai. Avevo capito che c’era qualcosa in lui che lo aveva trasformato. Non aveva bisogno di sorridere, aveva il sorriso sulle labbra, era il suo viso che sorrideva, c’era in lui un cambiamento di felicità, dall’espressione si notava un senso di beatitudine nel cuore. Notavo su di lui queste cose.

Mi dicevo che aveva incontrato qualcosa capace di farlo sorridere, ma io non pensavo alla chiesa di Jaddico.

Non ero tanto al corrente di Jaddico e di queste cose: Che ne sapevo di queste cose. Se avessi saputo di Jaddico mi sarei detto che la Madonna gli aveva dato il sorriso.

UN TESTIMONE VITO L.

Ti ringrazio Teodoro, per tutto quello che con la Tua umiltà mi hai insegnato, per il Tuo sorriso sempre disponibile, per la Tua calorosa stretta di mano che mi mancherà moltissimo e, soprattutto per quello che hai saputo offrire ai nostri cuori.

Quelle che abbiamo elencato, in base alle testimonianze che ci sono arrivate, non sono virtù, non quelle che la chiesa suggerisce per canonizzare un santo. Papa Francesco in “Gaudete ed esultate”, come poi leggeremo, ci parla del santo della porta accanto.

Santi si diventa quando nell’ordinario di ogni giorno si fanno cose straordinarie.

Santi si diventa quando si è in grado di diventare altro, rispetto ad altri, rispetto a chi ci sta accanto, rispetto a quello che il mondo oggi chiede di essere o addirittura costringe ad essere.

I santi non sono quelli che fanno i miracoli. Sono santi perché hanno riconosciuto la loro piccolezza, la loro povertà, la loro incapacità ad essere ciò che volevano essere e si sono fidati di Dio.

Se di miracoli vogliamo parlare, ebbene la frase è “sii tu il tuo miracolo”.

Nel film “Una settimana da Dio”, chi impersona Dio dice all’altro: “Sii tu il tuo miracolo”.

Ebbene Teodoro è stato lui stesso il suo stesso miracolo. La sua conversione è stato il suo miracolo. Teodoro aveva capito che non poteva più confidare in se stesso. Teodoro ad un certo punto riconosce la sua vulnerabilità. Fino ad allora aveva avuto la presunzione dell’uomo che voleva farcela da solo, addirittura arrogante perché poteva fare a meno degli altri. Pensava di poter essere sempre così. Questo il dramma più grande.

Il vigile urbano Vittorio San Giorgio descrive Teodoro che dirige il traffico stando sulla pedana di porta Mesagne. Agitava le braccia con i guantoni bianchi e il casco in testa . Era uno spettacolo vederlo all’opera: “Preciso, sicuro di se, coordinato, autoritario conduceva la circolazione in modo perfetto inserendo ad ogni movimento ripetuti trilli di fischietto.”

Il prof. Aberto Del Sordo ci dice che quando Teodoro dirigeva il traffico sembrava un generale che stava combattendo un’aspra battaglia. Era sicuro di se stesso, l’uomo vecchio che stava in Teodoro era troppo sicuro di se stesso.

Ebbene in “Gaudete ed esutate di Papa Francesco” ritorna prepotente l’esigenza della gioia come “segno di Grazia”, forse stiamo parlando della gioia che ormai Teodoro aveva dentro di se, di quella gioia che Teodoro inconsapevolmente esprimeva attraverso quel suo sorriso. Gioia intesa come manifestazione convinta della presenza del divino nell’uomo che parla soprattutto grazie al sorriso benevolo. In quell’uomo c’è una sicurezza interiore, una serenità piena di speranza che offre una soddisfazione spirituale incomprensibile secondo gli impegni mondani.

Crescendo e maturando nel cammino sacerdotale, ci dice un sacerdote, la vita mi ha offerto rari momenti in cui poter incontrare Teodoro, cogliendolo sempre defilato e schivo da ogni forma di autoaffermazione o di interesse da parte della gente.

Pensando al clamore che tanti pseudo veggenti suscitano oggi, credo che quella di Teodoro sia stata una esperienza di vita segnata dall’autenticità della sua umiltà, com’è nella tradizione ecclesiale di grandi uomini e donne del passato.

Il suo ricordo mi accompagna dolcemente come monito a vivere lontano dai clamori e dalle passerelle del mondo , cercando quell’unica sorgente di vita che solo la fede più nuda e più povera può offrire.

Solo oggi posso riconoscere che quello sguardo umile, dolce e sorridente era nutrito di cielo, un cielo che si era reso presente su questa nostra povera terra.

Chissà se Teodoro abbia mai detto alla nostra Madonna di Jaddico: “Spero di farti sorridere, perché se così è allora il tuo sorriso è la mia salvezza, l’unica mia vera gioia.”

Mi piace concludere con uno stralcio del Salmo 19 (18): “I comandi del Signore sono limpidi, danno luce ai miei occhi”.

12 maggio 2023 Testimonianza di Tonino D’Amici, figlio di Teodoro D’Amici il vigile urbano a cui apparve la Madonna di Jaddico,(Brindisi)

Serata trascorsa presso la Parrocchia San Michele Arcangelo (Castrignano del Capo) Lecce

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